L’Italia è il luogo geografico in cui, nel corso di due millenni, si è sedimentata la maggiore concentrazione di produzione artistica e culturale del mondo, nonché il Paese in cui questo ha coinciso con la nascita e lo sviluppo nel tempo di forme di artigianato artistico che hanno costituito le premesse ambientali e simboliche per un sistema industriale vocato all’eccellenza, quando non addirittura all’unicità.
Ma il vero fenomeno che ha determinato le caratteristiche della specificità italiana rispetto alle altre nazioni industrializzate è quel processo che ha segnato il nostro ‘900 fin dai suoi esordi: la fusione produttiva fra generi, arti figurative, letteratura, musica, moda, gastronomia, architettura, comunicazione, innovazione e – spesso – anticipazione tecnologica.
L’Italia è stata attraversata durante tutto il secolo da fermenti che le hanno consentito di esportare cultura, modelli, intuizioni, dando forma a quell’unicum originale che ha legato l’estetica alla funzione.
Basterebbe pensare al futurismo, movimento culturale di massa, esportato praticamente in tutto il mondo, intimamente legato alla nascita dei nuovi materiali e in costante rapporto dialettico, di contaminazione reciproca con la produzione industriale e con la dimensione pubblicitaria.
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“La città che sale” di Boccioni, i progetti di Sant’Elia, l’invenzione della pubblicità e del design (di cui Depero fu, insieme a Balla, il vero antesignano), per arrivare ai “tagli” di Fontana, ai “cellotex” di Burri, ai vetri di Vedova, ai romanzi di Calvino, ai film di Rossellini e di Fellini: solo avendo presente questo sfondo, questa capacità artistica di interpretare le trasformazioni urbane e industriali, il mondo e i modi della produzione, l’importanza della comunicazione e della tecnica, si può capire come l’Italia abbia anche “prodotto” invenzioni come quelle di Guglielmo Marconi.
Soprattutto bisogna collegare questo flusso artistico alla nascita della riproducibilità seriale degli oggetti, alla produzione industriale che, nel nostro Paese, non è stata altro che la trasposizione della migliore tradizione artigianale su una scala più ampia.
Questa, in fondo, è la materia da cui il Made in Italy è costituito, l’unica vera risorsa nostrana e, per giunta, una fonte di energia “rinnovabile” e potenzialmente inesauribile.
Non è un caso che proprio l’Italia, unica tra le grandi nazioni priva di risorse minerarie e, quindi, costretta a importare tutte le materie prime, sia stata la prima (e per decenni l’unica) a essersi dotata, con l’ICE, di un ente pubblico destinato a promuovere e sostenere le esportazioni: le nostre risorse sono proprio la storia, la cultura, l’arte, la natura, i colori e la capacità tutta italiana di rielaborare questi ingredienti in stili nuovi e coerenti.
Tale capacità si è legata, fin dall’inizio dello scorso secolo, alla nascita, all’utilizzazione, all’invenzione di nuovi materiali, di nuove forme, di applicazioni evolutive e innovative.
Questa, che è ormai tradizione consolidata, varca oggi anche i nuovi, inesplorati orizzonti della tecnologia, forse ancor più di quanto certi stereotipi ci inducano a credere.
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